giovedì 27 maggio 2010

Barche di lusso vendute due volte La Rimini Yacht sotto inchiesta


Rimini, 27 maggio 2010 - Un’inchiesta che assomiglia a una tempesta. Capace di mandare a fondo yacht di venti e passa metri e tutto un mondo patinato fatto di auto di lusso, banchetti, party e sorrisi.
La Procura della repubblica di Rimini ha da qualche settimana aperto una indagine dove si ipotizzano i reati di truffa, furto, sottrazione di beni e falso in atto pubblico che ruota attorno all’attività della Rimini Yacht, una rampante società di compravendità di barche di lusso che dal 2003 non conosceva appannamenti nonostante negli ultimi due anni la nautica sia stata spazzata da una crisi senza precedenti.

Al vertice della Rimini Yacht c’è Giulio Lolli, un bolognese di 45 anni residente a Bertinoro che fin dal suo arrivo a Rimini non ha mancato di farsi notare per la cura nelle pubbliche relazioni, negli eventi mondani e per le fantastiche auto con cui si spostava dal suo ufficio in via Destra del Porto ( ora chiuso) , la darsena di Rimini e il cantiere di Marina di Ravenna, anch’esso nella galassia Rimini Yacht. Oltre a Lolli sono indagati altri quattro ‘ruoli’ della società di brokeraggio marittimo a cui però va ancora assegnato un nome. Il meccanismo che si è trovato di fronte il pubblico ministero Davide Ercolani è complicatissimo nella sua disarmante semplicità.

A quanto si è potuto apprendere, e non certo dagli inquirenti, tutto è nato dalla denuncia di un aspirante armatore che con sorriso a 32 denti era andato in cantiere a ritirare il proprio vascello nuovo con tanto di documenti: la barca era stata appena ritirata da un altro armatore con i documenti uguali ai suoi. La denuncia ha fatto trapelare un meccanismo in cui le imbarcazioni sarebbero state immatricolate fino a tre volte approfittando anche del registro navale di San Marino che non dialoga con quello italiano e soprattto di documenti falsificati (in alcuni casi anche l’omologazione Cee pare sia falsa).

Ad essere truffati, oltre agli armatori, anche società di leasing che si ritrovavano a loro insaputa 'comproprietarie' di yacht da milioni di euro. Due società sammarinesi hanno già dato incarico al loro avvocato. Il primo leasing serviva a pagare la casa produttrice della barca, il secondo sarebbe finito nelle tasche di chi ha architettato la truffa.

Non solo: quando il primo leasing diventava fastidioso da onorare lo yacht improvvisamente spariva. La denuncia di furto faceva scattare anche il risarcimento dell’assicurazione. Dove finissero poi gli yacht è un mistero. Si può immaginare che con qualche documento falso e un po’ di controllori compiacenti possano essere stati venduti all’estero, ma questa è solo un’ipotesi. E un’altra ipotesi investigativa ha addirittura dell’incredibile: alcuni leasing sarebbero stati ottenuti sulla base di documenti totalmente ‘inventati’. Cioè sarebbe stata finanziata una barca mai esistita: tutto burro per i truffatori.

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